Intervista ad Héctor Ulises Passarella

 Héctor Ulises Passarella
Héctor Ulises Passarella

Come promesso, ecco a voi lettori di “Tango In Roma”, in esclusiva, l’intervista completa al grande maestro uruguayano di bandoneón Héctor Ulises Passarella, che ci permette di penetrare di più nel mondo di questo grande artista.

Già a undici anni suonava il bandoneón. Come nasce la sua passione e la voglia di imparare a suonare questo difficile strumento?
Mio padre era un innamorato del tango e del folklore uruguayano e argentino, possedeva un orecchio musicale assoluto e senza mai avere studiato poteva suonare sia il bandoneón sia la chitarra, e comporre testi e musica con una facilità paurosa… Io lo ascoltai suonare solo due o al massimo tre volte. Il suo gusto per il fraseggio e per il vibrato era impressionante… Nonostante il suo talento lui si prendeva in giro e diceva: “yo soy un gran “chambón” (pasticcione, n.d.r.), perciò non potrò mai insegnarti niente musicalmente, e quindi ti manderò da un gran maestro: Oscar Raùl Pacheco, lui sì che sa suonare!” Infatti, grazie alla sua umiltà, al suo coraggio di affrontare la realtà, oggi io sono bandoneonista. Ma la mia passione, nonostante a 11 anni già debuttassi come professionista nella orchestra tipica del mio primo maestro Pacheco, è arrivata a 12 ascoltando Anibal Troilo nel solo di “Danzarìn”. Feci subito un salto tanto grande dal punto di vista tecnico e musicale che il Maestro Pacheco, decidendo di ritirarsi dall’insegnamento del bandoneón nella scuola che aveva fondato, chiese a me di sostituirlo a soli 12 anni di età.
Il suo avvicinamento alla musica nasce dall’ascolto del tango o di altri generi musicali?
Sempre lo dico: sono stato cullato con il tango e fino ai 18 anni lavorai duramente anche come cameriere nel famoso “Tango Bar” della mia cara Florida, finché intrapresi a Montevideo gli studi accademici con i grandissimi musicisti René Marino Rivero e Guido Santórsola.

Sembra destino comune degli uruguayani così come degli argentini quello di dar vita a una doppia migrazione di andata e di ritorno dall’Italia. È andata così anche per lei? E come ha scelto di stabilirsi proprio a Macerata?

C’erano parecchie persone che desideravano, per il mio bene, che io arrivassi in Europa. Vinsi il primo premio assoluto “Ottorino Respighi” nel ’79 ed ecco che arrivai in Italia. I miei bisnonni paterni erano di Moliterno, Potenza… Di Macerata é mia moglie Guendalina. La conobbi in treno appena arrivato in Italia (nell’80); lei non solo sposò me, ma anche la causa del bandoneón e la mia musica…; Macerata era la città di Luigi Mariani, il primo venditore di bandoneón a Buenos Aires… Macerata era la città descritta sul libro di italiano sul quale studiavo in Uruguay…Ho vissuto in molte città d’Italia, ma Macerata è la città dove ho composto di più…Come ha osservato un caro giornalista amico, “il bandoneón suona maceratese”.

Come nasce la sua collaborazione con Bacalov?
Bacalov non mi conosceva, ma gli avevano già parlato di me… È stato lui stesso a chiamarmi per la registrazione de “Il Postino”.

In un’intervista lei ha affermato che dagli anni ’60 i compositori di tango non volevano più suonare per i ballerini. È così anche oggi oppure si è tornati a scrivere in funzione del ballo?

A partire dagli anni Sessanta, dopo l’evento Piazzolla, moltissimi musicisti del tango volevano realizzare una personale ricerca musicale sia negli arrangiamenti sia nelle composizioni, e quindi era logico che non potevano “ubbidire” al ballerino che voleva tutto ciò che era standard, non personale… Oggi invece tantissimi musicisti del tango, molti anche di Buenos Aires e Montevideo, operano in funzione del ballerino. A volte mi chiedo che cosa avrebbe detto Piazzolla oggi… Intendiamoci, a me il tango ballato piace moltissimo, ma quando è inteso come puro intrattenimento e si ascolta la musica mentre si balla (e non si contano i passi e si guarda chi ridicolmente vuole impressionare con i soliti movimenti) o quando è trattato in forma artistica. Il quasi “malevaje” del tango (siamo tornati a 100 anni fa?) che oggi si trova nelle milonghe di molte parti del mondo (basta ascoltare i racconti dei maestri di ballo ed alcuni allievi che non si prendono tanto sul serio per capire di cosa parlo) è un fatto commerciale, turistico, che fa perdere la testa alle persone più o meno predisposte psicologicamente; certamente questo non fa onore alla vera cultura rioplatense…

Come si compone oggi tango e che significato assume?
Certamente posso solo parlare della mia esperienza personale: quello che io faccio ha delle umili pretese artistiche e quindi condivido completamente il pensiero del grande compositore uruguayano Jaurès Lamrque Pons (1917-1982) che guardava ad altri orizzonti auspicando che il tango (senza dimenticare la milonga ed il candombe) fosse la fonte d’ispirazione di tanti musicisti rioplatensi per fare arte. In altre parole dico che se fossimo di più a non farci condizionare dal “vento che passa…” e continuassimo una vera e umile ricerca, il nostro adolescente tango continuerebbe a crescere artisticamente e forse riusciremmo, facendo onore a tanti grandi nomi della cultura dell’Uruguay e dell’Argentina, a far sì che questa musica un giorno venga chiamata musica rioplatense e non più tango (in termini limitati), e meno che meno solo argentino, senza voler togliere niente a questo bellissimo paese che tanto ammirevolmente ha dato in tanti campi artistici e della cultura in generale!
Approfitto anche per ribadire che sarò ben felice il giorno che non si discuterà più sulla nazionalità di Gardel: sicuramente Gardel è stato concepito e partorito in Tacuarembó – Uruguay (troppi documenti lo dimostrano!). Ma questo non mi sembra un merito. Quale altro merito ha l’Uruguay su Gardel se non averlo ospitato più volte a cantare nel nostro paese? Questo sì lo considero un merito! Così come quando Montevideo ospitava Piazzolla al tempo in cui faticava a presentarsi a Buenos Aires. I genitori adottivi di Gardel, che lo hanno cresciuto, che lo stimolarono, che gli permisero di essere Gardel, sono gli argentini e a loro deve andare tutto il nostro riconoscimento e ringraziamento!

Ci parli del suo lavoro al Centro di bandoneón di Roma.
È bellissimo per le persone che lo frequentano e le emozioni che insieme proviamo! Ho una decina di allievi nel corso di bandoneón voluto e fondato dall’Istituto Italo Latino Americano e dell’Ambasciata dell’Uruguay a Roma. C’è perfino un allievo, Raffaele, che tutti i lunedì prende l’aereo a Cagliari per venire a studiare, e non è mai mancato ad una lezione! Sono persone giovani e meno giovani. Alcune completamente dedicate alla musica come Paolo di Bari, altri come la bravissima Tania che, pur svolgendo un’altra attività, quest’anno si è già esibita come solista nel Festival “Tango y Màs”, i due Alessandro, Giovanni, Marcelo, Giulia, Pasquale, Luciano… Ma ciò che mi commuove ogni volta è sicuramente l’amore ed il rispetto che dimostrano per la musica, per la voglia di vivere emozioni attraverso di essa, per l’interesse verso i testi del tango, per la voglia di rompere con questa filosofia del tango che fu, ma che già non esiste. Tutti loro hanno una cultura in materia di tango, molto, ma molto superiore a tanti individui rioplatensi nella fascia dai trenta ai cinquant’anni di età… Loro si mettono al servizio del bandoneón e non mettono il bandoneón al servizio di loro stessi. Tra poco suoneranno benissimo il vero bandoneón ed in stile adatto alle varie epoche e conoscendo tutte le sue possibilità in materia tecnica, timbrica ed espressiva… Alcuni di essi, come tanti, potrebbero suonare il facilitato bandoneón “cromatico” (addirittura è brutta anche la dicitura, in quanto presuppone erroneamente che esiste un bandoneón diatonico che non ha cromatismo…Tutto sbagliato!), ma no! Vogliono suonare il vero bandoneón, il cosiddetto “diatonico”, che poi sarebbe più corretto definire “bitonico”. Il vero bandoneón, come sappiamo, ha un suono in apertura e un altro in chiusura del mantice, ma con uguale cromatismo! Il cosiddetto “cromatico”, strumento fatto per gli europei che assolutamente non suonavano il tango bensì altre musiche popolari, non è il vero bandoneón. Lo vogliamo dire una volta per tutte, senza timore di rimanere antipatici? Sono felice che i miei allievi non amino ingannare la gente (anche perché prima o dopo il pubblico se ne accorge che non si tratta dello stesso strumento, perché non ha lo stesso timbro!) e si siano avvicinati a questo Centro, pur sapendo le grandi difficoltà tecniche alle quali andavano incontro. Sì, loro vogliono suonare il VERO BANDONEÓN, IL BITONICO, quello di Piazzolla, di Troilo, di Rivero, di Barletta, di Federico, di Mederos, di Rios, di Marconi, di Vaz, di Di Matteo, ecc., quell’unico strumento che noi, nati in Uruguay ed Argentina, abbiamo sempre conosciuto e riconosciuto come bandoneón, perché i tedeschi, dopo che lo hanno inventato, hanno continuato a farlo per noi! Il bandoneón ha dato tanto a noi rioplatensi e noi solo possiamo retribuirlo con il nostro amore e lotta leale per la sua entità e sopravivenza!

Abbiamo constatato con piacere che ha trovato in suo figlio un valido proselito. È contento che abbia intrapreso la sua stessa strada?
Roberto (21 anni) è un compositore e direttore d’orchestra nato. Sebbene suoni il bandoneón ed il pianoforte con la stessa facilità, il suo mondo è l’orchestra e la creazione artistica, contaminata di pensiero filosofico. Infatti la sua produzione non si discosta mai dalla filosofia della quale è anche uno studioso accanito (oltre il Conservatorio a Pesaro frequenta anche la Facoltà di Filosofia a Macerata). Sì, sono contento del suo talento artistico, della sua già intensa produzione musicale e dei vari ruoli artistici che svolge ogni anno nel Festival Internazionale “Tango y Màs” di cui sono direttore artistico; e sebbene so che anche lui sarà un grande combattente come me in questo triste mondo di raccomandazioni e raccomandati, sono cosciente che saprà superare tutti gli ostacoli con più facilità in quanto ha una marcia in più di me!

Quando possiamo sperare di vederla esibirsi in un concerto a Roma?
Sinceramente non lo so con esattezza, anche se ogni due o tre anni, un po’“in sordina”, qualche breve presentazione la faccio sempre nella città che tanto amo. La mia ultima grande presentazione a Roma è stata al Teatro Sistina nel 2001. Ma penso che presto mi presenterò con un progetto assai ambizioso…
Claudia Galati

Lascia un commento