PARTENZE E RITORNI…

Napoli-Buenos Aires andata e ritorno
Napoli-Buenos Aires andata e ritorno

I primi due mesi del nuovo anno non potevano iniziare in maniera più felice dal punto di vista del connubio tango-teatro. Noi di Tango In Roma, come sempre presenti, recensiremo qui di seguito i due spettacoli portati in scena rispettivamente a gennaio e febbraio: “Napoli-Buenos Aires andata e ritorno” con Fatima Scialdone (23 gennaio, Teatro Golden) e “Tango de Buenos Aires” di Roberto Herrera (6 febbraio, Teatro Italia).
NAPOLI-BUENOS AIRES ANDATA E RITORNO.

Napoli, secondo dopoguerra. Madre e figlia, rimaste sole e povere, decidono di tentare la fortuna nel Nuovo Mondo, salpando così alla volta dell’Argentina (insieme a rifugiati nazisti). Portando sempre la propria città natale nel cuore, a Buenos Aires le due donne si ricostruiscono una vita: la madre vedova si risposa con un uomo ricco e in vista, mentre la figlia avvia una carriera di cantante e ballerina di tango grazie al proprio talento scoperto casualmente da Tita Merello, una celebrità locale e diva del cinema, che la accoglie sotto la propria ala e la consiglia per far decollare la sua carriera.

Sfondo della vicenda, il tango: il primo amore della protagonista -il suo altezzoso e maschilista maestro di tango, interpretato da un gustoso e divertente Eduardo Moyano-, il secondo – un pianista e compositore della famiglia D’Arienzo-, il favore dei Perón per le arti popolari e il tango, le grandi orchestre, l’epoca d’oro del tango. Finché non muta il quadro politico: con i militari al potere iniziano le persecuzioni che coinvolgono anche il tango, in quanto espressione popolare, e i suoi protagonisti. Inizia così un altro calvario per i due giovani coniugi, che braccati dalla polizia dopo essersi nascosti a lungo prendono la sofferta decisione di tornare in Italia. Ciò viene reso possibile grazie all’intervento del console italiano a Buenos Aires, che aveva aiutato molti italiani come loro a fuggire dalle persecuzioni del regime. Tuttavia Napoli non è più la stessa agli occhi della protagonista, che inizia ad avere inesorabilmente nostalgia di Buenos Aires: ora è diventata quella la sua Patria. Ecco spiegato il titolo dell’opera: il desiderio di un ritorno alla seconda patria, che ha sostituito quella madre nei pensieri e nel cuore degli emigranti. Fatima Scialdone, protagonista assoluta dello spettacolo, canta, balla, recita in napoletano e spagnolo, accompagnata al piano dal maestro Francesco Bancalari porta sul palco un’intensa ricostruzione della “seconda immigrazione” degli italiani in Argentina, alternando momenti comici e sfiziosi a momenti drammatici e struggenti, che rendono la pièce tanto viva e tanto vera. Dopo lo spettacolo abbiamo chiesto a Fatima ulteriori delucidazioni sull’opera.
Da dove hai preso l’idea della storia?
È una storia vera ma non autobiografica, che ho ripescato nella storia dell’emigrazione italiana e che ha contribuito all’esportazione della cultura italiana nel secondo dopoguerra. C’è tanta emigrazione nella mia famiglia, per cui già dieci anni fa ho fatto uno spettacolo incentrato sull’immigrazione femminile di inizio ‘900. Mia madre balla il tango, e mio nonno andò in Uruguay e imparò a ballare il tango la sera fuori dalle case.

Quindi l’idea mi è venuta dai racconti che ascoltavo a casa. Ho lavorato anche alla stesura del testo con Fernando Pannullo, con cui collaboro da dieci anni.
Quindi per lo più hai portato in scena spettacoli con protagoniste le donne?
Sì: storie di viaggio, immigrazione e donne. È stato toccante e realistico, ma mai retorico: non il solito spettacolo sul tango…
Non ho voluto fare uno spettacolo specifico sul tango perché ce ne sono già troppi in giro, serviva una storia che avesse un riscontro reale, una storia vera. Ad esempio, l’impresaria Tita Merello veniva dal popolo, andava alle feste popolari, e il console italiano di cui parla il testo è un Perlasca per noi, perché veramente aiutava i nostri connazionali e gli artisti in un momento in cui veniva tappata loro la bocca.
Ti riconosci nella protagonista peronista?
Sì. Nelle mie esperienze di viaggio ho constatato l’entusiasmo di poter comunicare, e il peronismo voleva la cultura per tutti, quindi in questo senso sì, mi riconosco nella protagonista peronista.
Com’è nata la partecipazione di Eduardo Moyano allo spettacolo?
Tre anni fa decisi di prendere lezioni di tango, ma le seguivo occasionalmente a causa dei miei impegni e non avevo un partner, e così non mi voleva nessun maestro. Solo Moyano mi ha accolto, e dato che ha anche una formazione teatrale ha accettato il copione e di recitare con me.
TANGO DE BUENOS AIRES, la cui tournée è iniziata lo scorso gennaio, ha segnato il ritorno sulla scena romana di Roberto Herrera dopo due anni di assenza: titolo poco originale che nasconde in realtà uno spettacolo insolito e diverso rispetto al panorama teatrale attuale in fatto di tango. Più propriamente, la pièce è incentrata sulla cultura argentina in generale, di cui larga parte viene ovviamente dedicata al tango. Dodici ballerini poliedrici in scena (tra cui il fratello di Herrera, Estanislao), tutti rigorosamente argentini, musiche affidate al sublime Decarisimo Quinteto dal vivo, costumi variopinti, un uso intelligente delle luci, ironia e professionalità: questi gli ingredienti dello spettacolo-performance in cui l’assenza di una vera e propria narrazione non ha sminuito l’idea di fondo. Una prima parte incentrata esclusivamente sul tango ha lasciato il posto a una seconda più frizzante e multiforme, simile a un intermezzo: vestiti hip-hop con sottofondo di tango elettronico; chacarera; sbandieramento patriottico; percussioni; canyengue tra uomini (“Oggi era la prima volta nella mia carriera che ballavo con un uomo: mio fratello!”, ha affermato dopo lo spettacolo Roberto); giochi di abilità anche con attrezzi circensi; omaggio a “santa” Evita Perón con le note di “Don’t cry for me Argentina” fino alla Cumparsita che ha chiuso, letteralmente, le danze.
Claudia Galati

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