Betrayal

Quando alla fine dello scorso anno ho scoperto che sarebbe stato rappresentato a Londra da marzo 2019 e per tre mesi Betrayal (Tradimenti) di Harold Pinter, attore e regista premio Nobel per la Letteratura 2005 e uno dei miei drammaturghi preferiti, e per di più con protagonista Tom Hiddleston, il talentuoso e famosissimo attore di teatro e cinema anch’egli tra i miei preferiti, ho capito che era un’occasione da non perdere. E così è stato: la sottoscritta ha avuto il privilegio di varcare la soglia dell’Harold Pinter Theatre, volando in quel di Londra pochi giorni or sono.

Betrayal (1978), il cui cast di notevole livello artistico oltre a Tom comprende anche Zawe Ashton e Charlie Cox, è una tragicommedia amara, toccante e commovente, non esente da punte di ironia. L’ordine cronologico del mini dramma abbraccia diversi anni partendo dal 1977 e andando a ritroso fino al 1968.

In questa pièce Pinter propone una riflessione sul dramma umano più che su quello politico e sociale delle altre sue opere, mostrando la “menzogna dell’amore” in un atto unico di un’ora e mezza senza intervallo (come da sua stessa indicazione) e il tradimento in tutte le sue espressioni: coniugale, dell’amicizia, delle proprie aspirazioni, aspettative, progetti.

Pinter fa “spiare” allo spettatore dal famoso “buco della serratura” le dinamiche relazionali fra i tre personaggi quarantenni – i coniugi Robert ed Emma e il migliore amico di lui Jerry -, mostrando il deterioramento dei rapporti e dell’amore reciproco per mezzo di dialoghi essenziali, brevi, incalzanti e talvolta spiazzanti, con quel tocco di sottile humor tipicamente british.

I personaggi conducono una vita agiata, hanno una bella famiglia con prole e un bel rapporto con i rispettivi partner. Eppure, tradiscono. Vorrebbero evadere dalle loro vite, ma allo stesso tempo non vogliono modificare lo stato delle cose:

Emma: Dimmi una cosa… hai mai pensato di cambiar vita?

Jerry: Cambiar vita? (pausa) Impossibile.

All I ever wanted / all I ever needed is here in my arms“.

Ottima la regia di Jamie Lloyd, così come perfetta è la messinscena: palco neutro, bianco e nero, semplice, essenziale, sobrio e funzionale, con una piattaforma centrale girevole, la parete di fondo mobile e pochi oggetti di scena. Sono gli attori a “disegnare” lo spazio con le loro movenze e la loro costante presenza fisica (cambi a scena aperta), verbale o spirituale, con i silenzi, gli sguardi, le lacrime, le esitazioni e le pause eloquenti. “E’ nel silenzio che, per me, i personaggi acquistano una maggior presenza”, affermò significativamente Pinter.

Novanta minuti (che trascorrono troppo in fretta) di emozioni regalate dalla trama coinvolgente e dai tre magnifici attori con la loro recitazione fluida e brillante e l’interpretazione intensa: si ride, si piange, si trattiene il respiro. Si empatizza con i personaggi, come quando Robert, seduto, stringe tra le braccia la figlioletta mentre il tradimento delle due persone a lui più care si consuma alle sue spalle. Un’esperienza indimenticabile, che non delude le aspettative.

Claudia Galati