TANGOS

Copertina Tangos di Enrique González Tuñon

Un affresco della marginalità in tutte le sue declinazioni: si presenta così Tangos, il primo testo letterario del cronista Enrique González Tuñón, frutto della selezione e riunione di testi giornalistici, 21 racconti del 1926, apparsi in precedenza sul quotidiano “Crítica”. Intercalati dalle letras di cui ripropongono l’argomento (e quasi sempre riprendono il titolo, con testo a fronte nell’edizione inedita in Italia della Nova Delphi), i racconti rielaborano la materia del tango donandole un contesto e una luce nuove in uno stile che rispecchia quello della cronaca giornalistica.

La ricca e curata introduzione di Ilaria Magnani contestualizza il libro nella storia della nascita e dello sviluppo del tango, del suo linguaggio, dei suoi temi, del suo universo e dei suoi protagonisti maschili e femminili.

Con Tangos riusciamo ad addentrarci nella periferia che è l’universo che ha fertilizzato il tango, nelle varie periferie dalle storie e dalle sorti simili, frutto di una condizione socio-economico-esistenziale ai margini, suburbio pittoresco e appassionato in cui convivono popolazioni di origini diverse. Non dimentichiamo che il tango è nato grazie alla contaminazione delle tradizioni musicali degli emigrati di diversa provenienza giunti in Argentina, il cui mondo eterogeneo ben rappresenta i cambiamenti che hanno segnato il Paese tra ‘800 e ‘900, specialmente la trasformazione in metropoli e la crescita della periferia di Buenos Aires sotto il peso delle ondate immigratorie provenienti dal Vecchio Continente.

Il disagio sociale e i personaggi tipici che abitano le periferie degradate sono la materia privilegiata dei testi del tango. Parimenti, il nostro autore focalizza l’attenzione soprattutto sulle figure marginali che vivevano ai confini urbani, in bilico tra indigenza economica e piccola delinquenza: il gaucho inurbato (spaesato, si sente estraneo, escluso) e gli immigrati (disillusi, impotenti e pervasi dalla nostalgia, preda facile per il malaffare).

Lo scenario dei tanghi di cui si occupa Tuñón rispecchia dunque questo contesto, fatto anche di confidenze nei bar, gelosia, assassini e sfregi per vendetta, ladri di professione e malviventi, locali malfamati e mantenute, miseria e nostalgia che si declina nei ricordi del passato (tempi felici della fanciullezza) o in un amore finito male (per abbandono, tradimento o sconfitta al duello).

Accanto al tema centrale del fallimento dei protagonisti (sopraffatti dal mondo in cui vivono) troviamo anche la proletarizzazione del popolo della periferia, costretto ad abbandonare i vecchi ritmi di vita e a trasformarsi in manodopera a basso costo, e la nascita di una coscienza che sta prendendo piede in questi settori popolari.

Del suburbio sono rappresentati anche i linguaggi/gerghi: il lunfardo del guappo; il cocoliche dell’immigrato (entrambi sono varianti gergali tipiche porteñas); la lingua “gauchesca” della campagna, intessuti in una trama di riferimenti alla cultura argentina e a quella europea. Tuñón nella sua raccolta usa il lunfardo – spesso considerato un gergo di malavita, linguaggio in codice, in realtà possiede più una funzione multiculturale, poiché annovera un repertorio di vocaboli di diversa provenienza/origine, espressioni metaforiche, il revés, ossia l’inversione delle sillabe di una parola, e l’uso dei localismi tipici – come fotografia del linguaggio di un’epoca trascorsa.

In quella che l’autore stesso definisce la “geografia spirituale di Buenos Aires”, ogni quartiere viene minuziosamente descritto, rendendo perfettamente l’ambientazione e le diverse sfaccettature presenti in uno stesso ambiente. E il suo affresco socio-geografico della città restituisce una sorta di topografia porteña: La Boca (del Riachuelo, nome del fiume Matanza nel suo ultimo tratto), quartiere a sud-est della città vivace e proletario, marginale e operoso; Villa Soldati, quartiere di sud-ovest prevalentemente operaio, sempre sulle rive del Riachuelo; proseguendo verso sud Parque de Los Patricios, area in cui venivano raccolti i rifiuti della città e che ospitava uno dei tre mattatoi cittadini; il quartiere prossimo al fiume Maldonado (oggi incanalato e sotterraneo da ovest fino al Rio de la Plata), dove viveva una popolazione molto povera che frequentava i caffè che hanno visto sorgere il tango e dove la prostituzione proliferava. Inoltre, vengono presentati i luoghi “di lavoro” maschile – le principali stazioni ferroviarie cittadine: Retiro (nord) e Constitución (sud) – e quelli femminili – cabaret, teatri di varietà e postriboli. Presenti anche il conventillo, edificio di più piani con al centro un cortile (simile alle nostre case di ringhiera) composto da dimore modestissime che ospitavano gli immigrati, e le immancabili vecchie baracche di latta e legni tarlati, “punto d’incontro dei malavitosi”.

Tra i racconti più rappresentativi segnaliamo: “Lo stregone”, storia spietata di tradimenti, vendette, duelli e ineluttabilità della sorte ambientato lungo il fiume Maldonado, “che attraversa la città come una ferita sulla faccia di un malfattore”; “I tuoi baci sono stati miei”, ambientato durante il Carnevale, che ben rende l’atmosfera della sfilata chiassosa e i suoi spettatori; il lirico “Entra, entra pure!”, che si svolge nel quartiere della discarica, dove i bambini “di uno stormo sporco e malaticcio lavoravano, selezionando ossa che riponevano con attenzione nelle sacche di tela”, frugando nelle montagne dei rifiuti nella speranza di trovare qualcosa. Notevole anche la descrizione dell’oste di origine italiana superstizioso e ossessionato dalla morte; “Cavalletta” e “Vecchio angolo”, in cui la milonga e il tango sono i protagonisti della costruzione e distruzione di rapporti di coppia; “Vecchio amico”, che sottolinea il passaggio storico, economico e sociale dalla prigionia delle galere a quella della fabbrica: “Adesso, gli eredi dei guappi consumavano la strada o ruminavano la loro stanchezza di sfruttati, lasciandosi incarcerare nelle fabbriche le otto ore regolamentari per mettere assieme la zuppa. Il suburbio, quel suburbio delinquente e complice, ha smesso di vivere alle spalle degli altri per vestire i panni del proletario. All’epoca dei perdigiorno e mendicanti che facevano risuonare le loro pene sulle corde della chitarra e buttavano giù un mate quando la mala sorte li obbligava a tirare la cinghia, era seguita l’era delle rivendicazioni operaie […] Il coltello tornava nel fodero di fronte al petardo.”

Tra i più toccanti e originali figura “Una piccola elemosina”, storia di una ex donna di vita finita in bancarotta e non più giovane, ridotta ad elemosinare la carità dei viandanti per sopravvivere, in attesa della morte.

Claudia Galati